Menu principale:
Patti (prematrimoniali) chiari e amicizia lunga
A cura di Armando Salati
Sono ormai già tre le sentenze della Corte di Cassazione
(23113/2012, 19304/2013, 4210/2014) che aprono, pur con riserve, ai finora
tanto osteggiati "patti prematrimoniali".
In tre occasioni la Suprema Corte ha affermato la validità
di particolari pattuizioni formulate dai coniugi prima del matrimonio (ma anche
durante) in vista di una, seppur scongiurata, crisi dello stesso.
Giurisprudenza e dottrina: un breve sguardo al passato.
La Cassazione risalente (6857/92) giudicava i patti
prematrimoniali nulli perchè aventi causa illecita.
Tale illiceità era riscontrabile nel fatto che detti patti
potevano impedire la libera disponibilità dello status di coniuge (ad esempio
mediante una clausola che prevedeva una grave sanzione economica in caso di
richiesta di divorzio, coartando gravemente la libertà del coniuge di
divorziare) oppure, se stipulati al fine di concordare preventivamente
l'assegno divorziale, rischiavano di rendere vana la sua "funzione alimentare"
Parte della dottrina propendeva invece per riconoscere
maggiore autonomia ai coniugi nel determinare i propri rapporti economici,
anche successivamente alla crisi coniugale.
La Cassazione più recente (8109/2000, 2492/2001, 5302/2006)
non giudica tali pattuizioni, di per sè, contrarie all'ordine pubblico: il
divieto di quantificare preventivamente l'assegno di divorzio si fonda sulla
tutela del coniuge economicamente più debole. per cui non si tratterebbe di
patti nulli in assoluto ma di patti viziati da nullità relativa, nel senso che
solo il coniuge più debole avrebbe diritto di invocarne la nullità.
Questo era il panorama giurisprudenziale sino a dicembre
2012 ed è in questo contesto che si inseriscono le tre sentenze che andremo ad
esaminare.
Prima apertura: la sentenza 2371 del 2012
Il caso concreto: il giorno prima di sposarsi i nubendi
sottoscrivevano una scrittura privata con cui la futura moglie si impegnava a
trasferire al marito la propria seconda casa a compensazione dei soldi spesi
dal futuro marito per ristrutturare la prima casa (anche questa di proprietà
della moglie) e ciò solo se il matrimonio fosse "fallito". Veniva
inoltre previsto, come ulteriore accordo connesso e collegato, il pagamento del
marito alla moglie di circa Euro 10.000 in titoli di stato.
Tali prestazioni, secondo l'interpretazione data dalla Corte d'Appello e confermata dalla Cassazione, costituiscono una datio in solutum, un "pagamento" fatto al fine di rimborsare il marito per i lavori di ristrutturazione dell' immobile. I:evento "fallimento del matrimonio" - dice la Corte Suprema - è assimilabile ad una condizione sospensiva.
Motivazione della sentenza del 2012
Secondo la Suprema Corte con questi patti sono ammissibili e
validi in quanto i coniugi non intendevano "blindare" il proprio
matrimonio, nè prevedere una "sanzione" in caso di fine del rapporto
coniugale, nè intendevano prevedere un assegno di mantenimento a priori: il
loro intento esclusivo, o comunque principale, era quello di disciplinare i
loro rapporti patrimoniali ed economici relativi ad un importante esborso
finanziario sostenuto dal marito per lavori di ristrutturazione, prevedendo che
il credito di quest'ultimo divenisse esigibile dallo stesso solo se e quando si
fosse verificato l'evento "condizionale" del fallimento del
matrimonio.
Nel caso di specie l'obbligazione della moglie poteva essere
estinta, soddisfatta, a mezzo del trasferimento al marito di altra casa, sempre
di proprietà della moglie.
Negli accordi sottoscritti dalle parti il giorno prima del
matrimonio era anche previsto che. se e quando si fosse verificato l'evento
condizionale, il marito avrebbe trasferito alla moglie un titolo di stato (BOT)
del valore di circa euro 10.000. Anche questo ultimo accordo può leggersi non
come una quantificazione preventiva di assegno di mantenimento o divorzile ma
come una ulteriore e collegata pattuizione che prevede una somma da liquidarsi
a completamento del più generale accordo tra coniugi: il valore della seconda
casa trasferita al marito era leggermente superiore a quanto speso dal marito
per i lavori, per cui occorreva conguagliare i loro rapporti economici con una
somma a favore della moglie.
Sentenza 19304/2013: altro accordo ritenuto ammissibile dalla
Cassazione
Il caso concreto: Tizia e Caio, coniugi, sottoscrivono un
accordo in forza del quale Tizia si impegna a restituire a Caio, in caso di un
eventuale separazione, la somma avuta da questi in prestito.
Motivazione della sentenza del 2013
Tizia, non intendendo più adempiere all'obbligo nascente
dall'accordo, ha sostenuto che lo stesso è nullo in quanto, quale deterrente a
porre fine al matrimonio, coartava e limitava la sua sfera di libertà. Tizia
invocava altresì la violazione della inderogabilità dei doveri matrimoniali.
La Suprema Corte, accogliendo la posizione di Caio, sostiene
invece che l'accordo raggiunto tra i coniugi è valido: un patto che contenga
l'esplicito riconoscimento dell'esistenza di un debito conseguente ad un mutuo
e che sottopone a condizione sospensiva l'obbligo di restituzione della somma
non è nullo in quanto la condizione sospensiva apposta è del tutto lecita.
Non c'è nessuna norma imperativa che impedisca ai coniugi,
prima o durante il matrimonio, di riconoscere l'esistenza di un debito verso
l'altro e di subordinare la restituzione all'evento, futuro e incerto, della
separazione coniugale. Anche l'inderogabilità dei doveri coniugali è fuori
luogo, non venendo meno per il fatto che uno dei coniugi debba restituire un
prestito in caso di separazione.
La Suprema Corte, in riferimento alla presunta pressione psicologica che tale accordo potrebbe esercitare verso il coniuge debitore, replica con una affermazione forte: ove pure essa sussistesse, non si tradurrebbe di per sè nella nullità di un contratto come quello in esame.
Ultimo caso: la sentenza 4210 del 2014
Il caso concreto: due coniugi raggiungono un accordo tra loro in merito alla vendita della prima casa coniugale, alla divisione del ricavato e al pagamento del mutuo acceso sulla nuova casa familiare.
Motivazione della sentenza del 2014
Nel caso concreto il marito contesta l'interpretazione data dai giudici
all'accordo, interpretazione che escludeva la rilevanza delle somme da questi
versate al tempo dell'acquisto della prima casa coniugale. Tuttavia, quello che
interessa in questa sede è la propensione della Suprema Corte a riconoscere
nuovamente, per la terza volta in due anni, la validità di un accordo tra
coniugi relativo ai rapporti patrimoniali esistenti tra gli stessi.
La Cassazione in questa sede non si dilunga a motivare le ragioni per
cui ritiene l'accordo tra coniugi valido ed efficace, lo presuppone tale, e
affronta solo il problema di ampliare o meno il contenuto dell'accordo.
Questa implicita ammissione di validità degli accordi tra coniugi,
collocandosi nell'ultima di un trittico di sentenze favorevoli ai patti
pre-matrimoniali (o, più in genere agli accordi tra coniugi sui loro rapporti
patrimoniali), non può che interpretarsi come un ormai maturato e assimilato
convincimento sul tema da parte della Suprema Corte.
Un commento:
Occorre precisare che le tre sentenze in esame non sono un sigillo
definitivo della Corte di Cassazione sull'ammissibilità di tutti i patti
prematrimoniali: la Suprema Corte si è anzi preoccupata (specie nella sentenza
2311/2012) di evidenziare che i contenuti dei patti erano ammissibili proprio
perchè non violavano il divieto "sacro" di pre-quantificazione
dell'assegno coniugale.
Tuttavia tre sentenze in due anni non possono non significare una
consolidata apertura della Suprema Corte a ritenere validi accordi tra coniugi
in materia economica e patrimoniale che vadano a disciplinare la crisi
matrimoniale, e ciò a prescindere dal volerli ricondurre o meno, nell'ambito
degli storicamente contestati "patti prematrimoniali".
Anzi, forse dovremmo tutti "sdoganarci" da questo termine,
ingiustamente sinonimo di patti illeciti e coniare una nuova definizione: in
tempo di acronimi, potremmo chiamarli semplicemente A.P.C. ovvero Accordi Patrimoniali
tra Coniugi.
In tempi di crisi e di norme o disegni di legge che tendono a
ridimensionare il ruolo del notaio, è fondamentale vagliare nuove aree di
esercizio della nostra funzione, ovviamente nel rispetto della legge.
Nel corso della XVI legislatura è stato presentato un disegno di legge
(n. 2629) avente ad oggetto l'introduzione degli accordi prematrimoniali nel
nostro ordinamento.
Il Disegno di Legge prevedeva l'introduzione dell'articolo 162-bis del
Codice Civile che autorizzava i futuri coniugi a stipulare un patto
prematrimoniale diretto a disciplinare gli aspetti patrimoniali conseguenti
alla separazione, scioglimento o cassazione degli effetti civili del
matrimonio, con espressa previsione della possibilità di esclusione del coniuge
dalla successione necessaria.
Questi accordi, una volta stipulati, dovevano essere tenuti in
considerazione dal Giudice il quale ne avrebbe dato esecuzione ai sensi
dell'articolo 1 del Disegno di Legge.
Gli articoli 2 e 3 prevedevano inoltre che l'accordo prematrimoniale
potesse derogare la Legge sul divorzio.
Gli atti prematrimoniali dunque, come si legge nella relazione al
Disegno di Legge, dovevano tendere ad un "rafforzamento del valore del
matrimonio ed un disincentivo per i divorzi".
Una riforma in materia di diritto di famiglia che prevede l'introduzione nel nostro ordinamento dei patti prematrimoniali di successioni è stata proposta durante la seconda giornata di lavori del 46° Congresso nazionale del notariato. Con due modifiche al codice civile si vuole riconoscere ai coniugi la possibilità di disciplinare, in qualsiasi momento, anche prima di contrarre il matrimonio, i loro rapporti patrimoniali nell'ottica di eventuale separazione o divorzio.
Un esempio di patto può essere quello che prevede la rinuncia di un
futuro coniuge al mantenimento da parte dell'altro, salvo il diritto agli
alimenti. E nel caso in cui gli accordi riguardino figli minori o non
economicamente autosufficienti, detti accordi dovrebbero essere preventivamente
autorizzati dal giudice.
Le proposte di cui sopra non hanno ad oggi portato ad una normativa
specifica in materia.
Questo non deve impedire ai notai di tentare di acquisire un ruolo
determinante nel prevenire contenziosi nella fase della crisi coniugale. La
prevenzione di contenziosi fa parte del nostro DNA, spetta ad altri la tutela
delle parti nei contenziosi ormai già sorti. Vediamo di cogliere questo
"assist" della Cassazione e proponiamoci come specialisti nella
redazione di APC, Accordi Patrimoniali tra Coniugi.
Questi accordi potranno essere stipulati non solo prima del matrimonio e
durante il matrimonio, ma anche all'inizio della crisi del matrimonio stesso.
L'accordo, sino all'approvazione di nuove normative in materia, dovrà
essere necessariamente strutturato all'interno dei confini indicati dalla
Cassazione nella recente sentenza 2371/2012 ovvero:
a) non è il matrimonio che viene stipulato sulla base di un accordo
prematrimoniale ma è l'accordo prematrimoniale che viene stipulato riferendosi
al fallimento del matrimonio come mero evento ipotetico, condizione al
verificarsi della quale si produrranno gli effetti dell'accordo;
b) ogni previsione economica (pagamento di somme, trasferimento di
immobili e proprietà in genere) deve essere giustificata principalmente dal
voler organizzare e definire i reciproci rapporti finanziari e patrimoniali,
senza riferirsi, nell'accordo, a esigenze di quantificazione di assegno di
mantenimento, di divorzio, o simili.
Queste cautele dovranno essere necessariamente adottate dal notaio nella redazione dell'accordo perchè, come più volte detto, ad oggi la normativa non prevede nè disciplina in modo specifico i patti prematrimoniali (o, come preferibile, gli accordi patrimoniali tra coniugi) e perchè la giurisprudenza degli ultimi 30 anni è stata estremamente rigida sull'argomento.
Col tempo (ogni riforma richiede un giusto tempo di assimilazione), si
potrà anche affrontare e disciplinare il delicato tema dell'assegno di
mantenimento, che poi è la principale causa delle liti tra coniugi (fatte salve
le liti sull'affidamento dei figli).
Con il buon senso, con l'introduzione di parametri oggettivi e con la
capacità, tipica dei notai. di analizzare le esigenze delle parti e di
prevedere le possibili patologie, gestendole in modo preventivo con clausole
equilibrate ed imparziali, sono certo che sarà possibile stipulare accordi
anche relativi al mantenimento del coniuge bisognoso, senza che nessun giudice
possa riscontrare nullità per lesione di diritti inviolabili, ma con l'indubbio
vantaggio di eliminare o ridurre drasticamente le liti tra coniugi sulla
quantificazione dell'assegno, con risparmio di costi sia per i coniugi stessi,
sia per la macchina giudiziaria (e quindi per tutti).
Quali strumenti negoziali possiamo utilizzare per redigere un APC, Accordo
Patrimoniale tra Coniugi?
Uno spunto per individuare lo strumento negoziale adatto allo scopo ce
lo dà l'articolo 159 del codice civile, quando ammette la stipula di una
"diversa Convenzione" Matrimoniale: questa diversa Convenzione
Matrimoniale deve formalizzarsi secondo i dettami del successivo articolo 162
c.c.
E' indubbio che sino ad oggi parte della dottrina ha preferito limitare
la portata di questa norma, ma è anche vero che la norma non vieta
espressamente di interpretare il termine "regime patrimoniale" della
famiglia in senso più ampio, ricomprendendo in esso anche tutti i possibili
accordi economici tra coniugi. Ed è anche vero che la norma non vieta di
disciplinare con una convenzione specifica il momento finale del rapporto
matrimoniale, inteso come il momento della crisi coniugale. Insomma, lo
strumento negoziale per redigere APC, Accordi Patrimoniali tra Coniugi, lo
abbiamo già: sono le Convenzioni Matrimoniali previste dal nostro codice
civile. E sono atti riservati (per ora...) alle nostre esclusive competenze.
Sarebbe auspicabile che sia il Consiglio Nazionale del Notariato, sia il Sindacato Federnotai, sia le realtà locali dei Consigli Notarili, organizzino convegni o incontri di studio, al fine di esaminare l'argomento in oggetto, sostenendo la fondatezza dell'interpretazione estensiva dell'articolo 159 del Codice Civile come sopra esposta e legittimando così la stipula di accordi tra Coniugi mediante l'utilizzo delle Convenzioni Matrimoniali, normativamente già previste e riservate in esclusiva ai notai.
Si dovrebbe poi pervenire a Studi del Notariato che indichino direttive
a tutti i notai sulle modalità di stipula di queste speciali convenzioni
matrimoniali e sui contenuti ammissibili delle stesse.
L'applicazione in questo senso della norma non potrà che essere
considerata, dalla giurisprudenza e dalla opinione comune, socialmente utile e
allineata alle attuali esigenze della comunità: socialmente utile in quanto a
servizio del cittadino con lo scopo. indubbiamente meritevole di tutela, di
limitare i contenziosi giudiziali nelle purtroppo ormai numerosissime crisi
matrimoniali.
Non possiamo non cogliere l'occasione, offerta dalla Suprema Corte, di
offrire un servizio di rilevante importanza, studiando e formulando accordi
equi da far sottoscrivere ai nubendi o ai coniugi e ciò in momenti di serenità
ed equilibrio, al solo fine di evitare in futuro eventuali controversie nel
caso, ovviamente da nessuno auspicato, di fallimento del matrimonio.
Le prese di posizione, a crisi ormai manifesta, portano spesso i coniugi
a percorrere strade autolesionistiche, perdendo di vista soluzioni giuridiche
semplici che sarebbero eque per entrambi.
Un accordo che consenta di disciplinare prima, con serenità, una
eventuale crisi coniugale, pur con il necessario controllo di legalità del
notaio (e del giudice se esistono figli minori) che eviti eccessi, toglierebbe
le armi a chi vuoi far guerra per motivi futili e impedirebbe quegli inutili
contenziosi portatori purtroppo di pesanti conseguenze a carico dei figli, già
provati dalla fine del rapporto affettivo dei genitori.
Le Convenzioni Matrimoniali contenenti Accordi Patrimoniali tra Coniugi
avranno il vantaggio di essere valido titolo esecutivo, di avere un controllo
di legalità da parte del notaio rogante, di essere soggette a trascrizione e
quindi opponibili ai terzi.
In via subordinata (mi permetto, in periodo di liberalizzazioni, di "rubare" questo termine agli avvocati), laddove si ritenesse troppo azzardata l'interpretazione di cui sopra, abbiamo comunque altri strumenti negoziali, già normativamente previsti, idonei a disciplinare gli accordi tra coniugi: i contratti preliminari redatti in forma notarile (art.2645 bis C.C.) o i contratti di costituzione di vincolo di destinazione (art.2645 ter C.C.).
Trattasi di strumenti negoziali il cui eventuale utilizzo e adattamento
al caso specifico andrà di volta in volta valutato, ma che hanno l'indubbio
pregio di avere la valenza dell'atto pubblico nonchè di essere trascrivibili (e
quindi opponibili ai terzi), tutti vantaggi che oggi non avrebbero delle
semplici scritture private contenenti accordi tra coniugi.